Assosport, internazionalizzazione è chiave per far crescere le imprese

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AdnKronos
Roma, 16 nov. (Labitalia) - 'L’internazionalizzazione è la chiave per crescere'. Questo è il dato emerso dal convegno promosso da Assosport in collaborazione con Across Consulting, 'Internazionalizzazione: misuriamo i rischi commerciali, finanziari e del capitale umano'. "Tutti parlano di internazionalizzazione -spiega il presidente di Assosport, Luca Businaro- ma lo sportsystem è uno dei settori che effettivamente sta investendo moltissimo in questa direzione. La scelta dei Paesi verso i quali aprire un business è data da molteplici elementi: come associazione confindustriale abbiamo voluto presentare alle nostre aziende un quadro a 360 gradi per creare una consapevolezza sui rischi, ma anche sulle opportunità ancora da cogliere nell’aprire nuove trattative commerciali".Per Sace-Simest e Cerved Group, "i rischi sono molteplici da quello politico a quello economico, dal rischio di cambio al rischio di trasferimento". "Ad oggi - si sottolinea - un mercato come quello delle calzature sportive investe il 70% in Paesi a basso rischio (Francia, Germania, Usa, Regno Unito, Spagna, etc.), solo il 6% in Paesi con un rischio maggiore (Turchia, Romania, etc). Esistono però delle zone 'under performance' su cui potrebbe essere interessante fare un’analisi commerciale, Messico, India e Cile in primis. Per le aziende che intendono esportare, inoltre, è essenziale valutare al meglio anche la strategia di vendita online". “L’e-commerce -ha dichiarato Giacinto Tommasini, dello Studio Tommasini&Martinelli- ha registrato una crescita del 17% rispetto al 2016 raggiungendo un valore assoluto di 23,6 miliardi di euro. In Italia sono 22 milioni i consumatori che acquistano online almeno 1 volta all’anno (+10% rispetto al 2016), 16,2 milioni i webshoppers, che effettuano acquisiti su base mensile". Tuttavia, il 59% delle aziende intervistate per l’e-commerce barometer ha dichiarato di trovare difficile vendere all’estero online principalmente per 3 motivi: regolamentazione del mercato, aspetti fiscali che lo connaturano, logistica. Il risultato è che solamente il 12% degli acquisti online europei sono stati fatti al di fuori del mercato nazionale."Altro punto delicato è quello del capitale umano -ha spiegato Paolo Gubitta (Università di Padova e Cuoa Business School)- non basta gestire i trasferimenti temporanei dei collaboratori all’estero. Ci sono due elementi critici. Il primo è pensare anche a chi (partner e figli) segue il collaboratore, supportandoli nell’inserimento sociale o professionale: non tutte le imprese sanno amministrare questi aspetti. Il secondo è gestire il rientro dall’estero: capita spesso, infatti, che il confronto tra standard di vita offerti per andare all’estero e quelli proposti al rientro si traduca in una sorta di disaffezione quando si torna in patria, che può portare a lasciare l’azienda. Come se ne esce? Una soluzione è imparare a gestire i rientri. L’altra è investire di più sul personale del luogo, magari con brevi periodi di lavoro nella casa madre in Italia per poi ritornare nel Paese di origine”.Un altro tema toccato da Gubitta è stato l’employer branding: "E' una strategia fondamentale anche per l’internazionalizzazione, perché vuol dire costruire consapevolmente l’immagine con cui l’impresa si propone sul mercato del lavoro e attira i collaboratori: le persone talentuose non lavorano solo per denaro! Ricordiamocelo".

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