
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Lo Stato ha certamente il diritto di fare un prigioniero, ma non di disinteressarsene. Questo è il terreno del tutto trascurato, in cui una vicenda, dal punto di vista giudiziario banale (un arresto in tema di stupefacenti), volge in pochi giorni in tragedia”. E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza del terzo processo d'Appello per la morte di Stefano Cucchi che il 14 novembre 2019 ha dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per 4 medici dell’ospedale Sandro Pertini e l’assoluzione per un quinto medico, tutti accusati di omicidio colposo. “Cucchi - scrivono i giudici nelle 69 pagine di motivazioni - rappresentava indubbiamente un paziente di difficile approccio, probabilmente scarsamente disponibile all’interlocuzione, forse con venature antisociali, certamente oppositivo ed ancorato ad una caparbia ed infantile posizione di rifiuto dei trattamenti”. Secondo i giudici però “è troppo sbrigativo e troppo semplice affermare a questo punto che il paziente rifiutava le cure ed i trattamenti e quindi nulla può contestarsi ai sanitari”. Siamo in presenza di “un festival di insipienze che deve aver prodotto una reazione – si legge - definiamola puerilmente sdegnata, da parte di un soggetto verosimilmente già portatore di proprie fragilità. Di qui il passo è breve: lasciarsi andare, optare per il tanto peggio tanto meglio per far nascere nelle persone che si reputano intimamente responsabili del suo stato il senso di colpa”.
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