
Palermo, 6 apr. (Adnkronos) - L'ex falso pentito Vincenzo Scarantino "è un mentitore di professione". E' un "soggetto che mente dal 1994 e che, a distanza di quasi 30 anni, ha deliberatamente deciso di continuare a offrire ricostruzioni arbitrarie, ondivaghe e false". Ecco come i giudici del Tribunale di Caltanissetta, del processo sul depistaggio Borsellino, descrivono il falso collaboratore Scarantino. I giudici nelle motivazioni, depositate ieri pomeriggio, come anticipato dall'Adnkronos, parlano di "costante nebulosità del narrato di Vincenzo Scarantino". "Anche nel procedimento ha prospettato una ricostruzione dei fatti che non può coincidere con la realtà, soprattutto nella misura in cui ha attribuito in toto ad Arnaldo La Barbera in primis e ai suoi uomini poi, la paternità di tutta una serie di dichiarazioni accusatorie che altro non potevano essere se non il frutto dei margini di autonomia che per scelta o per necessità gli vennero lasciati". Per i giudici "la tendenza al mendacio condiziona irreversibilmente la possibilità di valorizzare le sue dichiarazioni accusatorie nei confronti degli imputati rispetto alle quali è improponibile pensare di potere estrarre, con la certezza che richiede l'odierna sede, elementi di verità". "L'indissolubile intreccio tra verità e menzogna che caratterizza la testimonianza dell'ex falso collaboratore Vincenzo Scarantino, impedisce al Tribunale di ritenere l'attendibilità di Scarantino nelle sue propalazioni eteroaccusatorie, impedendo così di trarre considerazioni a carico in ordine alla responsabilità degli imputati". "E' difficile distinguere quando le lacune narrative siano frutto di iati mnemonici e quando siano espressione di un racconto volutamente caotico e nebuloso". "Egli, per sua stessa ammissione, ha infarcito i suoi racconti, falsi, di conoscenze reali da lui effettivamente possedute. Questo modus procedendi ha irrimediabilmente compromesso la possibilità di discernere con sicurezza il falso dal vero all'interno del suo portato dichiarativo"."A ciò deve aggiungersi la costante tendenza a manipolare le risposte fornite all'interlocutore al fine di suggellare la tesi che egli stesso propone". "Nel corso di poco meno di un ventennio Scarantino ha fornito alle diverse autorità giudiziarie ricostruzioni divergenti, caratterizzate da un costante andirivieni di racconti, intrisi di circostanze radicalmente false e circostanze vere, dando vita a una altalena di versioni che hanno reso oltremodo difficile 'valorizzare' le parti, poche ma certamente significative, davvero genuine del suo racconto", dicono i giudici nelle motivazioni della sentenza sui tre poliziotti. Per i giudici "il costante mendacio di cui sono intrise le sue propalazioni , l'evidente difficoltà di discernere, nei suoi racconti, il vero dal falso, impedisce una ricostruzione oggettiva che abbia il rigore probatorio richiesto nell'ambito processuale". "In altri termini, il narrato dello Scarantino, in un senso o nell'altro, non può avere alcuna autonomia probatoria, potendo essere utilizzato solo ed esclusivamente quando le circostanze da lui riferite sono supportate da dati oggettivi e autosufficienti che, in definitiva, assurgerebbero ex se e senza l'ausilio della dichiarazione, al rango di prova". "La tendenza irresistibile a mentire di Scarantino prescinde anche dalla falsa collaborazione".Poi, entrando nello specifico delle imputazioni a uno dei tre poliziotti, Mario Bo, che, secondo Scarantino, lo avrebbe maltrattato, i giudici dicono: "Se è noto che Scarantino ebbe realmente a incontrare Arnaldo La Barbera (l'ex capo della Mobile ndr), in tre occasioni e il dottor Bo in una occasione, mentre era detenuto a Pianosa, non è dato conoscibile, che il complesso di maltrattamenti patiti possa essere riferibile a condotte ascrivibili all'operato del funzionario e non invece a una suggestione dello Scarantino". (di Elvira Terranova)